Donna e scienza: perché non è vero che le donne non sono portate per le materie scientifiche

Gli esperti faticano a capire perché la rappresentanza femminile sembri essersi arrestata, se non addirittura diminuita, in alcuni ambiti chiave delle discipline STEM. I pregiudizi e gli stereotipi di genere sono un ostacolo contro cui l’universo femminile ha sempre dovuto misurarsi. Come è possibile che in un’epoca in cui la parità di genere sulla carta appare come una realtà, i pregiudizi e gli stereotipi possano ancora ergersi come barriera tra donne e scienza?  

Secondo Ceri Goddard, ex A.D. della Fawcett Society, ente di beneficenza che si batte per l'uguaglianza di genere e i diritti delle donne nel Regno Unito, questo fenomeno è il risultato di un allontanamento prematuro dalle battaglie per l’emancipazione femminile. «Quando le donne sono diventate parte attiva della vita economica, si è pensato che gli stereotipi sociali e culturali sarebbero scomparsi spontaneamente» ha dichiarato in un'intervista alla stampa britannica.

In realtà, non è semplice abbattere l’idea diffusa che vede le donne adatte alle professioni di tipo assistenziale, creativo e comunicativo mentre associa gli uomini alla logica, alla scienza e alla finanza. Questo pregiudizio alimenta il divario retributivo di genere, e soprattutto mina i sogni delle giovani donne che non vedono un futuro da scienziate

Scienziata e scienziato: differenze preconcette

Gli stereotipi sono talmente radicati da permeare spesso le sacre sale accademiche dove le donne scienziate non dovrebbero subire alcun tipo di discriminazione. Eppure, fanno riflettere i risultati di uno studio pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences sugli effetti dei pregiudizi di genere nel processo di assunzione di scienziate e scienziati.

I ricercatori si sono rivolti a 127 facoltà di scienze di differenti Università utilizzando lo stesso Curriculum Vitae contrassegnato in modo casuale con nomi maschile e femminili. I risultati dell’esperimento randomizzato in doppio cieco sono rivelatori: i candidati maschi sono stati valutati come significativamente più competenti e selezionabili rispetto alle candidate femmine, altrettanto qualificate.  Non solo, agli uomini è stato anche offerto uno stipendio iniziale più alto. Infatti, secondo le ultime indagini svolte sia in Europa che negli Stati Uniti, risulta che a un anno dalla laurea le donne di Scienza o che hanno studiato discipline STEM guadagnano circa l’80% di quanto percepito dai colleghi maschi.

Un esperimento simile c’è stato anche negli Stati Uniti. L’agenzia di reclutamento Speak with a Geek ha inviato lo stesso CV di 5000 persone in due modalità diverse: tra quelli corredati da specifiche di genere o etnia solo il 5% delle donne è stato assunto, percentuale salita al 54% nei CV dove i dettagli mancavano.

Donne scienziate che hanno lasciato il segno

Le ragioni della carenza di donne nella scienza sono complesse ma non sono oscure. Gli studi condotti evidenziano la necessità di dissolvere gli stereotipi e i pregiudizi, con politiche che offrano prospettive alle donne nelle istituzioni accademiche e con modalità di lavoro flessibili.

«L'ignoranza sulle materie Stem è profondamente radicata», ha dichiarato al The Guardian Peter Hicks, membro del comitato per l’istruzione dell’Institution of Engineering and Technology. «Sia i genitori che il personale delle scuole hanno un'idea distorta dalla realtà attuale di queste professioni. Purtroppo, vengono forniti pochi modelli femminili agli studenti che, inconsapevolmente, registrano questo dato come fattuale.»

Se domandassimo alle studentesse italiane più giovani il nome di qualche scienziata, probabilmente citerebbero Marie Curie, due volte Premio Nobel, forse la scienziata Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina, qualcuna potrebbe nominare l’astrofisica Margherita Hack.  

Ma oltre ai classici tre esempi, proviamo a chiedere di altre donne scienziate. A quel punto cala la nebbia e non solo sui giovanissimi. Anche gli adulti non sono in grado di elencare dieci scienziate, una mancanza che probabilmente vale per gli insegnanti e addirittura per molti uomini di scienza. Chi sa citare Ada Yonath, Premio Nobel per la chimica 2009 per gli studi sulla struttura e funzione del ribosoma? Chi conosce Maryam Mirzakhani, la matematica iraniana insignita della medaglia Fields per i suoi studi sulle superfici astratte? Eppure, le donne da prendere a modello ci sono, oggi più di ieri.  

Donne e scienza: quali modelli?

Purtroppo, non si parla abbastanza delle donne scienziate. Se anche qualche nome può risultare familiare, non si può dire lo stesso dei loro volti. Non vengono invitate spesso a parlare del loro lavoro in televisione. Se non si dà visibilità a queste personalità esemplari che, come modelli di riferimento possono affascinare e invogliare altre giovani donne a percorrere gli stessi passi in un mondo ricco di innovazione, è impossibili abbattere gli stereotipi.

In Francia, l‘associazione Femmes & Sciences si occupa di promuovere la scienza e la tecnologia e di supportare le donne in questi ambiti. I membri dell’associazione incontrano ogni anno migliaia di liceali per testimoniare la passione per i mestieri scientifici e incoraggiarle le studentesse a queste carriere. Come ha detto nell’Ottocento Maria Mitchell, prima astronoma americana: “Quando ero giovane mi dicevo che le donne hanno bisogno delle scienze esatte. Ora mi dico che sono le scienze che hanno bisogno delle donne”.

«Incontrando i giovani ho preso coscienza di quanto la quasi assenza di figure femminili nei libri scolastici, abbia un impatto forte sul destino delle ragazze che sono attratte dalle materie STEM», ha scritto Sylvaine Turck-Chièze, fisica nucleare e astrofisica, nella sua introduzione al libro 40 Scienziate straordinarie dal XVII secolo ai giorni nostri. L’illustre astrofisica, membro del consiglio di amministrazione dell’importante associazione Femmes et Sciences, racconta di avere scoperto la fisica e la chimica in seconda elementare alla fine degli anni Sessanta, e di essersi immersa nella biografia di Marie Curie.

«Oggi le ragazze si allontanano da queste professioni perché non riescono a proiettarsi in questo ambito. Preferiscono pensare alla medicina» sottolinea l’astrofisica. In Francia, infatti, il 60-70% degli studenti di medicina è donna, una tendenza che si sta affermando anche in Italia.

Viviamo in un mondo in rapido cambiamento e, spesso, l'accesso a molti posti di lavoro è limitato, mentre ve ne sono altri che richiedono competenze e conoscenze scientifiche che ancora poche donne approfondiscono. Eppure, la richiesta su scala mondiale di professionalità dove la fisica, la biologia, la matematica, l'informatica e la chimica sono indispensabili continua a essere alta.

Donne e scienza: niente più barriere

Elizabeth Blackburn, che ha ottenuto il Premio Nobel per la fisiologia o la medicina 2009, durante la consegna del Premio L’Oréal-UNESCO For Women in Science ha dichiarato: «Io stessa in tutta la mia carriera ho vissuto la difficoltà di dover abbattere i pregiudizi. E ritengo di fondamentale importanza partecipare a questo cambiamento radicale, in modo da rimuovere le barriere tra donne e scienza». David Macdonald, Direttore del programma For Women in Science, ha sottolineato che l’opinione pubblica non è consapevole di quanto i pregiudizi siano ancora radicati.

Andando a curiosare tra i risultati dello studio internazionale condotto in collaborazione con Opinion Way sulle ragioni delle disparità che colpiscono le donne impegnate in campo scientifico e sugli ostacoli che incontrano nel loro percorso di crescita professionale, si leggono dati sorprendenti. Secondo il 67 per cento degli europei, le donne non possiedono le capacità necessarie per accedere a ruoli di alto livello in ambito scientifico. Se si guardano le risposte degli italiani questa percentuale sale al 70.

Alla luce di questo panorama desolante, è importante dare spazio e visibilità a tutte quelle scienziate che hanno dimostrato come le donne possono eccellere nelle materie scientifiche. Dal 1901 al 2022 sono 25 le donne scienziate che hanno vinto il Nobel nelle discipline STEM, economia compresa visto che per la matematica e la biologia non è previsto questo riconoscimento. Sono solo 25, ma rappresentano la punta di un diamante ben più ampio e prezioso, formato da tante scienziate che meritano di essere raccontate con orgoglio alle generazioni di oggi.

Le paure delle donne di scienza

Il rapporto tra donne e scienza è sempre stato difficile perché avvolto da paure comprensibili: la paura di non essere all’altezza, la paura di fallire, la paura di non essere valutata per le proprie capacità, la paura di mettere piede in un mondo dove sei considerata un’intrusa, dove necessità e attitudini rimarranno inascoltate. In generale, la famiglia e la scuola dissuadono le ragazzine dal seguire il sogno di una carriera scientifica o dall’aspirare di raggiungere i livelli più alti. I retaggi culturali che influenzano la visione della donna sia in fase formativa che in ambito lavorativo, oltre alle scarse politiche di welfare per conciliare lavoro e famiglia, demotivano.

Invece di sentirsi stimolate e supportate, le donne vengono scoraggiate, con uno spreco di talento incalcolabile. Come ha detto il Premio Nobel Rita Levi Montalcini, scienziata e neurologa, “La differenza tra donna e uomo è epigenetica, ambientale. Il capitale cerebrale è lo stesso: in un caso è stato storicamente represso, nell’altro incoraggiato”.

E i dati non confortano: nello studio Women in the Workplace 2022, realizzato da McKinsey e Lean In sull’occupazione femminile, il 32 per cento delle donne con ruoli tecnici e ingegneristici dichiara di essere spesso l’unica donna nella stanza. Se a livello globale, tra gli uomini più di uno studente su tre sceglie di laurearsi in una materia Stem (36,8%), la percentuale praticamente si dimezza tra le donne 19,2%. In Italia, incrociando dati Ocse, Eurostat e Istat, l’apporto tra donne e scienza non migliora. La percentuale di donne che occupano posizioni tecnico-scientifiche in Italia è tra le più basse dei Paesi Ocse: 31,7% contro il 68,9% di uomini. Per il futuro, le prospettive non appaiono rosee: secondo i dati, solo il 5% delle adolescenti italiane sogna una carriera nelle professioni tecniche o scientifiche.

Risulta chiaro che la trasformazione culturale sia necessaria. «Servono nuovi programmi di studio che promuovano la curiosità delle bambine per le scoperte scientifiche fin dalla più tenera età, includendo le materie scientifiche e tecnologiche durante la scuola primaria» ha dichiarato Sima Bahous, Direttrice esecutiva di UN Women. Dare spazio alle donne che meritano genera nuovi modelli di riferimento e culturale, e come in un gioco di specchi l’oggi può riflettere nuove prospettive alle donne di domani.

Una scienziata italiana ad Harvard: Francesca Dominici

Francesca Dominici è professoressa di Biostatistica e co-direttrice della Data Science Initiative all'Università di Harvard. Reclutata alla Harvard Chan School come professore di ruolo di biostatistica nel 2009, è stata nominata Preside associato di Informatica nel 2011 e Preside associato senior per la ricerca nel 2013. All’Avvenire ha raccontato che le scienziate si devono scontrare con difficoltà maggiori rispetto ai colleghi. Oltreoceano ha ritrovato l’atteggiamento discriminatorio che aveva pensato di lasciarsi alle spalle quando a 24 anni, durante il primo anno di dottorato, ha abbandonato l’Italia.

«C’è un pregiudizio strisciante, difficile da individuare e combattere» ha dichiarato al quotidiano. «Alle riunioni del comitato di cui sono capo, ancora accade che mi presentino come la moglie di un brillante scienziato. Ai congressi, quando è il turno delle ricercatrici donne, gli uomini ne approfittano per fare una pausa caffè. E se ti arrabbi o smetti di parlare, essendo donna vieni dipinta con un carattere difficile, nel migliore dei casi».

Con 220 pubblicazioni, la Dominici compare nell'elenco di Thomson Reuter tra i migliori scienziati citati nel suo campo. Si è anche dedicata con passione alla politica per promuovere la parità̀ di genere perché́ le donne abbiano le stesse opportunità̀ e il talento non venga sprecato. Al Corriere della Sera ha sottolineato gli ostacoli con cui ricercatrici e scienziate devono misurarsi continuamente: «Ho sempre dovuto provare di essere molto più̀ qualificata dei maschi, fare i conti col fatto che se sono troppo carina perdo autorità̀, ma se sono assertiva divento difficile».

Le minori opportunità di poter accedere a ruoli apicali, l’idea che per avere successo devi trascurare affetti e famiglia, i pregiudizi di genere sono stati duri da affrontare ma non le hanno impedito di arrivare dove voleva. Anche se una grande difficoltà è conciliare ambito professionale con quello personale. Le donne full professor, come lei, rappresentano il 15 per cento, ha spiegato. Poche se si pensa che al livello iniziale della carriera, le donne rappresentano il 50 per cento del totale. Troppe sono costrette, infatti, ad abbandonare le aspirazioni di carriera perché diventa incompatibile con la vita familiare.

torna al blog