Le sfide della maternità sul lavoro e le soluzioni per le neo-mamme
Mentre in Italia, il calo demografico sta diventando un problema di portata significativa, continua a rimanere senza soluzioni concrete e soddisfacenti la necessità di conciliare maternità e lavoro. Nel 2023, la popolazione è diminuita di circa 179.000 persone rispetto all'anno precedente. Al 1° gennaio 2023, la popolazione in Italia è scesa a 58,851 milioni, a causa di una dinamica demografica che vede il numero dei decessi superare quello delle nascite generando un fenomeno che non viene compensato nemmeno dai movimenti migratori internazionali.
Nel 2022, si sono registrati 713.000 decessi a fronte di sole 393.000 nascite. Per la prima volta dall'unità d'Italia, c’è stato un preoccupante record negativo: il numero di nascite in Italia nel 2022 è sceso al di sotto di 400.000 bambini, segnando un calo significativo rispetto al 2008 che è stato l'ultimo anno in cui si è registrato un aumento delle nascite. Favorire la maternità è la soluzione per ringiovanire un paese che, altrimenti, è destinato a impoverirsi e scomparire. Ma servono misure concrete, mirate a supportare la donna nella doppia veste di neo mamma e lavoratrice.
I motivi dell’abbandono del posto di lavoro
I dati forniti dall’INL, Ispettorato nazionale del lavoro, parlano chiaro: nel 2021 circa 38mila donne si sono dimesse, ovvero il 71 per cento del totale. Un dato negativo preoccupante se si considera che la maggioranza delle donne che abbandonano il posto di lavoro ha un’età compresa tra i 29 e i 44 anni, e che l’età media della prima maternità oggi è attorno a 33 anni.
La pubblicazione Le equilibriste della maternità, stilato da Save the Children, evidenzia il rapporto tra tasso di occupazione delle donne nella fascia 25-49 anni con figli in età scolare e donne nella stessa fascia d’età e senza figli: nel 2021 è del
73 per cento. Questo significa che ogni 100 donne senza figli occupate ce ne sono 73 con figli in età scolare occupate. Ma si tratta di una media. L’indicatore, infatti, si sposta parecchio in base alla scolarizzazione delle donne: sale al 93 per cento per chi ha un'istruzione universitaria, scende al 71 per cento nelle donne con diploma di scuola superiore, e arriva addirittura al 48,7 per cento per chi ha la licenza media. Un dato che conferma quanto sia penalizzante fare un figlio se si ha un titolo di studio inferiore e, di conseguenza, anche una ridotta capacità economica.
L’abbandono del posto di lavoro è un segnale evidente di un problema che va affrontato con politiche sociali a sostegno della maternità.
La maggioranza delle donne motiva l’abbandono con la difficoltà di combinare maternità e lavoro sia per motivi legati alla presenza di servizi utilizzabili sia per ragioni organizzative. Fare figli costa caro e l’abbandono del posto di lavoro diventa una scelta obbligata quando non si guadagna abbastanza per fare fronte anche alle tasse di iscrizione, retta e mensa degli asili comunali. Per non parlare delle strutture private, che spesso e volentieri sono una scelta obbligata a causa della carenza di posti disponibili negli asili nido pubblici. In questo senso, non aiuta l’ultima revisione del Pnrr che vede svanire nell’immediato 100mila dei 264.480 previsti per arrivare al 45 per cento di copertura entro il 2030, come richiesto dall’UE. Di questo passo, tra meno di dieci potrebbe effettivamente, non essercene più bisogno. Nel frattempo, chi guadagna meno in famiglia, abbandona il posto di lavoro: ovvero, quasi sempre la neo-mamma.
Policy aziendali che celebrano la maternità
L'integrazione di politiche aziendali pensate per le esigenze della neo-mamma non solo aiuta a ridurre il tasso di abbandono del posto di lavoro ma contribuisce anche a creare un ambiente lavorativo più equo e inclusivo. Investire in soluzioni che supportino la maternità è sicuramente un dovere etico, ma può trasformarsi in un vantaggio competitivo, incrementando la soddisfazione e la lealtà dei dipendenti e migliorando l'immagine dell'azienda.
Gli esempi virtuosi ci sono, ma sono ancora troppo pochi. Tutti sappiamo della iniziativa di Barilla che dal 2024 assicura 12 settimane di congedo retribuito al 100%, a ciascun genitore indipendentemente da genere, stato maritale e orientamento sessuale. Sono altrettanto attenti a un ambiente di lavoro inclusivo in Kellogg Italia dove le nuove politiche includono anche il sostegno ai trattamenti per la fertilità oltre che in fasi legate a menopausa o interruzione di gravidanza, con permessi retribuiti, orari di lavoro flessibili e consulenza psicologica gratuita se desiderata.
Ancora più ampio e completo il programma di Prysmian Group, azienda italiana leader mondiale nella produzione di cavi per telecomunicazioni e industria di sistemi, con una visione attenta ai bisogni dei dipendenti. La spiccata sensibilità per Diversity, Equity e Inclusion si accompagna a misure concrete che riconoscono il valore della genitorialità. La Global parental policy dell’azienda promuove pratiche per aiutare la neo-mamma all’arrivo dei figli, e favorire un rientro al lavoro graduale, efficace e soddisfacente.
In alcune sedi Prysmian Group ci sono sale per l'allattamento e servizi che offrono servizi di assistenza e coaching ai genitori. Il congedo di maternità per madri biologiche e adottive è retribuito al 100 per cento per i 5 mesi di maternità; il congedo parentale facoltativo è retribuito al 100 per cento per i primi 90 giorni; un bonus bebè di alcune migliaia di euro viene erogato a ogni genitore per supportare l’arrivo del nuovo figlio. Queste sono le azioni di sostegno che l’azienda assicura, oltre al programma di formazione mentoring e counseling per affiancare il rientro al lavoro dalla maternità, e che possono diventare un modello da copiare per tutte le aziende.
Gli strumenti per conciliare maternità e lavoro
Per favorire il rientro da parte delle giovani mamme, e contrastare l'abbandono del posto di lavoro, le aziende hanno diversi strumenti a loro disposizione.
● Concentrarsi sulle politiche di congedo maternità rendendole più flessibili è un ottimo strumento di supporto. Si può estendere la durata del congedo o introdurre opzioni di congedo parziale che aiutano la neo-mamma a gestire meglio la transizione.
● Gli orari di lavoro flessibili e smart working sono un grande supporto che aiuta una donna a conciliare senza stress le diverse necessità di maternità e lavoro.
● Il supporto emotivo e logistico può fare una grande differenza per la neo-mamma, soprattutto se prevede servizi di consulenza e supporto psicologico, o facilitazioni logistiche come l’asilo nido aziendale
● Ideare dei programmi specifici per facilitare il rientro al lavoro dopo la maternità, con training e aggiornamenti, aiuta a ridurre la sensazione di sentirsi tagliate fuori dai giochi.
● Sposare una cultura aziendale che valorizza equamente i contributi di uomini e donne, incoraggiando anche i padri a prendere congedi parentali, promuove la parità di genere e un ambiente dove le donne amano restare perché si sentono stimate e non discriminate.
Perché bisogna dare più valore alla paternità
Anche la valorizzazione della paternità può diventare uno strumento utile che aiuta la donna a conciliare maternità e lavoro, così da ridurre la tendenza dell’abbandono del posto di lavoro dopo il rientro. Il congedo di paternità può avere infatti un peso importante sia nella redistribuzione dei carichi nella gestione della famiglia, sia nella diffusione di una diversa considerazione della figura paterna. Oggi, le lavoratrici hanno diritto a un congedo di maternità di cinque mesi, che di solito inizia due mesi prima del parto e termina tre mesi dopo, con variazioni possibili a seconda delle condizioni di salute. Oltre al congedo di maternità, c’è il congedo parentale di massimo 10 mesi usufruibile, sia dalla neo mamma che dal papà nei primi 12 anni di vita del bambino, per periodi continuativi o frazionati.
Ci sono i permessi di allattamento che possono essere richiesti dai padri lavoratori in alternativa alla madre o anche se lei vi ha rinunciato.
Per quanto riguarda i congedi per i padri lavoratori, con le novità introdotte dal 2022 il congedo di paternità è diventato obbligatorio per i lavoratori dipendenti pubblici e privati. Questo significa che è prevista per il papà lavoratore l’astensione obbligatoria dal lavoro di 10 giorni – che diventano 20 nel caso di gemelli - e che si può usufruire di questo diritto in un arco di tempo compreso tra i due mesi precedenti e i cinque successivi al parto, con l’indennità del 100% della retribuzione.
Si tratta di cambiamenti importanti, che devono però segnare l’inizio di un percorso più articolato, votato a rafforzare il coinvolgimento maschile nel lavoro familiare e di cura.
Come ha detto in occasione della Giornata internazionale della donna, il nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Scoprire che una mamma italiana su cinque decide di lasciare il lavoro è una sconfitta per tutta la società italiana, alle prese con un grave declino demografico”.