"Ha intenzione di avere figli?": la gravidanza e il colloquio di lavoro
Bilanciare maternità e carriera è una delle sfide più complesse per le donne. Nonostante i progressi nella parità di genere, il conflitto tra lavoro e gravidanza è una realtà ancora viva. Il periodo che precede e segue la gravidanza può mettere a dura prova, infatti, la carriera di una donna, complicando la ricerca di nuove opportunità lavorative o il mantenimento del proprio ruolo. Le ricerche mostrano che le donne in età fertile affrontano discriminazioni anche solo per il sospetto di poter avere figli in futuro.
Secondo un rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, le donne sono penalizzate dal ‘Maternity bias’, ossia il pregiudizio che associa la maternità a ridotta produttività e minore impegno lavorativo.
In Italia infatti, come in altri Paesi, è diffusa la pratica di porre domande illegali durante i colloqui di lavoro. Secondo uno studio di Eurofound, il 44% delle donne europee ha dichiarato di aver subito domande inopportune sulla vita familiare o sulla pianificazione della gravidanza durante le selezioni.
Ecco perché è fondamentale dare supporto alle donne affrontando il tema maternità e carriera con una prospettiva di empowerment femminile, sottolineando i diritti lavorativi e fornendo alle donne gli strumenti per scelte consapevoli. Quella tra lavoro e gravidanza è una scelta che non dovrebbe mai essere imposta, eppure i numeri dimostrano che il timore di subire ripercussioni professionali è ancora concreto.
La maternità penalizzata
Una delle forme più radicate di discriminazione nel lavoro è la tendenza a considerare le donne in età fertile o già madri come meno affidabili. Rispetto agli uomini e alle donne senza figli, infatti, sono ritenute meno produttive o impegnate professionalmente. Una ricerca di McKinsey & Company nel 2022, conferma che quando si diventa madri si sperimenta un calo nelle opportunità di avanzamento professionale. Lo studio ha rilevato che, soprattutto nei primi anni dalla nascita di un figlio, per le madri si riducono le opportunità di promozione e di ruoli di leadership. Questo effetto è noto come ‘Motherhood penalty’, ossia la "penalizzazione della maternità".
Un'indagine condotta dall'ISTAT rivela che il 31% delle donne tra i 25 e i 34 anni è stata interrogata sulle intenzioni riguardo alla gravidanza durante un colloquio. Considerando che molte donne si sentono costrette a mentire o a rimanere vaghe, temendo che la sincerità possa compromettere le possibilità di assunzione, il dato diventa più preoccupante.
Come rispondere a domande inappropriate
Quando un selezionatore chiede: "Ha intenzione di avere figli?" sta violando le leggi sul diritto del lavoro e mette la candidata in una posizione difficile. Affrontare domande inappropriate o illegali durante un colloquio è, infatti, stressante e disorientante. Ci sono strategie per rispondere in modo professionale, senza compromettere le opportunità lavorative e senza rinunciare ai propri diritti lavorativi. Esserne consapevoli permette di affrontare la situazione con più sicurezza.
Un approccio vincente è quello di rispondere in modo da riportare il focus sulle competenze e qualifiche professionali, minimizzando l'aspetto personale. È possibile, ad esempio, far notare con educazione che la domanda non è rilevante oppure rimanere neutri con una risposta come: "In questo momento sono focalizzata sulla carriera e sulla crescita professionale. Sono entusiasta delle opportunità che questa posizione può offrire."
La dichiarazione non conferma né nega, ma permette di proseguire l’intervista senza entrare in questioni personali e senza creare conflitto.
Bisogna poi valutare se valga davvero la pena aspirare a una posizione in un’azienda dove la pratica discriminatoria avviene già in fase di colloquio.
Diritti lavorativi delle donne
In Italia, le leggi mirano a proteggere posizione e diritti lavorativi delle donne, per garantire che possano vivere la maternità senza sacrificare la carriera. Non tutte le donne, però, sono consapevoli dei loro diritti. E questo le rende più vulnerabili alle discriminazioni.
Uno degli aspetti più critici riguarda le domande illegali durante i colloqui di lavoro. La legislazione italiana (D.lgs. 198/2006 e Legge 903/1977) interviene a supporto delle donne con il chiaro intento di tutelarle da pregiudizi legati alla vita privata. La legge in Italia, infatti, vieta di discriminare i candidati in base a genere e/o allo stato familiare. Questo significa che qualsiasi domanda riguardante la pianificazione familiare, il desiderio di figli o la gestione della maternità è illegale. Le aziende non possono usare queste informazioni per decidere se assumere o meno una candidata.
Quindi domande come: "Ha intenzione di avere figli?", "È sposata?" o "Come pensa di gestire la maternità con il lavoro?" sono inappropriate. La Corte di Cassazione italiana ha ribadito che anche solo domandare se una donna desidera dei figli rappresenta una forma di discriminazione di genere, passibile di denuncia e sanzioni. Nel caso, la legge prevede risarcimenti per danni morali e materiali alla lavoratrice che ne subisce gli effetti.
Cosa fare in caso di violazione
Conoscere i propri diritti lavorativi e sapere come agire in caso di violazione è fondamentale. Se una lavoratrice ritiene di essere stata discriminata, può rivolgersi all'Ispettorato del Lavoro, a un sindacato o nelle sedi provinciali del Consigliere di Parità, che fornisco consigli e supporto alle donne. Inoltre, può avvalersi del Tribunale del Lavoro per richiedere risarcimenti in caso di licenziamento illegittimo o discriminazioni.
Le aziende che supportano le donne
Prima di accettare un colloquio, si possono fare ricerche sull’azienda, verificando se attua politiche a sostegno della genitorialità e del work-life balance. Non mancano, infatti, datori di lavoro con cultura dell’inclusione, come dimostrano gli esempi di aziende note anche per le politiche di sostegno alle madri lavoratrici. Le loro iniziative migliorano il benessere, la produttività e la fedeltà da parte delle lavoratrici, creando un ambiente in cui le donne non sono costrette a scegliere tra carriera e maternità.
Vodafone: pioniera nel supporto alla maternità
Già nel 2015, Vodafone ha introdotto la politica che garantisce alle dipendenti un congedo maternità retribuito di 16 settimane e, al ritorno, la possibilità di lavorare a tempo ridotto (al 30% in meno) per altri sei mesi a stipendio pieno. Questo permette alle madri un rientro graduale, facilitando la transizione tra maternità e lavoro. Con la politica di "maternità inclusiva" che riconosce il ruolo fondamentale della famiglia e promuove la parità di genere all'interno dell'azienda, Vodafone ha ottenuto benefici in termini di produttività e retention del talento.
Patagonia: flessibilità e childcare
Patagonia, azienda di abbigliamento outdoor nota per l’impegno nella sostenibilità ambientale, è anche attiva nelle politiche a sostegno delle famiglie. Offre servizi di childcare in sede e flessibilità lavorativa per permettere a madri e padri di organizzare il lavoro in modo da bilanciare lavoro e vita familiare. Questo approccio migliora il work-life balance, e promuove una cultura aziendale che vede la famiglia come elemento centrale della vita dei dipendenti che non mina la produttività.
L'Oréal: promozione della leadership femminile
L'Oréal è una delle aziende leader nell’adozione di politiche in supporto alle donne e alle madri lavoratrici. Con il programma "Share & Care" promuove il work-life balance attraverso flessibilità oraria, smart working e congedi parentali estesi sia a madri che padri.
L'Oréal è impegnata nella promozione della leadership femminile, con programmi di formazione e sviluppo professionale specifici per le donne. Queste iniziative garantiscono che ogni lavoratrice possa continuare il proprio percorso di carriera in modo armonioso, anche durante e dopo la gravidanza.
Ferrero: welfare aziendale e famiglia
In Italia, Ferrero si distingue per l’impegno nel welfare aziendale e il sostegno alla genitorialità. L’azienda offre un pacchetto di benefici per le madri lavoratrici con orari flessibili, nidi aziendali, telelavoro e servizio di supporto psicologico. I programmi di reinserimento dopo il congedo di maternità prevedono formazione continua e mentoring per facilitare la ripresa dell’attività. Questo approccio valorizza le competenze delle lavoratrici e le incoraggia a rimanere attivamente coinvolte nel loro percorso di carriera.
Se vuoi maggiori informazioni o supporto sul tema della maternità e carriera, esplora le risorse su Women4 e scopri le aziende che promuovono l'inclusività.