Come superare e reagire a casi discriminazione femminile

Le discriminazioni di genere sono una preoccupazione sociale che, oltre che nonostante i progressi degli ultimi decenni, continua a colpire le donne in ogni ambito della vita, dal lavoro alla famiglia, dalla politica allo sport. Si parla di discriminazioni femminili quando una donna subisce un trattamento meno favorevole rispetto a un uomo in una situazione analoga, proprio in ragione del suo essere donna.

Promuovere la parità di genere non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche di convenienza economica.

Secondo Banca d'Italia, se il tasso di occupazione femminile raggiungesse quello maschile, il PIL crescerebbe del 7%. E, in base ai risultati di un’analisi condotta da McKinsey & Company, le aziende con più donne ai vertici hanno performance migliori del 15%.

Ecco perché contrastare ogni forma di discriminazione delle donne sul lavoro è una priorità non più rinviabile. Una sfida che richiede l'impegno di tutti, dalle istituzioni alle imprese, dalla società civile a ciascuno di noi. Perché solo insieme possiamo costruire un mondo del lavoro più equo e inclusivo, in cui il talento, non il genere, sia l'unico criterio di successo.

I numeri delle donne discriminate

Nel 2023, nonostante si sia registrato un lieve aumento dell'occupazione femminile in Italia, il divario con la media europea e con l'occupazione maschile resta molto ampio, posizionando l'Italia all'ultimo posto in UE per partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Nel nostro Paese, tra i 20 e i 64 anni lavora solo il 56,5% delle donne, contro una media UE del 70,2%. Il divario con gli uomini (76% di occupati) è di 19,5 punti, quasi il doppio della media UE (10,3 punti).

E anche quando lavorano, le donne sono spesso discriminate nella retribuzione: guadagnano in media il 16% in meno dei colleghi uomini a parità di mansione. Una disparità che si acuisce ai livelli apicali, dove le donne manager rappresentano solo il 27%.

A livello globale, il World Economic Forum stima che al ritmo attuale ci vorranno ancora 136 anni per colmare il Gender gap nel mondo del lavoro. E la pandemia ha peggiorato la situazione: secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), le donne hanno perso il lavoro a un tasso 1,8 volte superiore agli uomini.

Ma i numeri non bastano a restituire l'impatto devastante che la discriminazione delle donne ha sulla loro vita quotidiana. Essere costantemente sminuite, ostacolate, penalizzate sul lavoro mina l'autostima, la motivazione, la salute psicofisica. Senza contare le ripercussioni sulla sfera personale, con scelte di vita forzate come il rinvio della maternità o la rinuncia alla carriera.

Come vengono discriminate le donne sul lavoro

Le discriminazioni femminili sul posto di lavoro si manifestano in molteplici forme, spesso subdole e difficili da individuare. Una delle più evidenti è la disparità salariale a parità di mansione: nonostante svolgano lo stesso lavoro, le donne percepiscono in media retribuzioni inferiori rispetto ai colleghi uomini. Altrettanto frequenti sono le discriminazioni di genere nelle opportunità di carriera, con il cosiddetto "soffitto di cristallo" ovvero le barriere invisibili ma insormontabili che impediscono alle donne di avanzare nella loro carriera e raggiungere posizioni di vertice nelle organizzazioni, nonostante le loro qualifiche ed esperienze.

Non meno gravi sono le molestie sessuali e il mobbing basato sul genere, che creano un clima intimidatorio e ostile per le lavoratrici. Basti pensare che, secondo un recente studio condotto su un campione di oltre 4 mila donne, il 40% delle lavoratrici ha subito contatti fisici indesiderati sul posto di lavoro e il 27% ha ricevuto richieste o apprezzamenti a sfondo sessuale.

Particolarmente riprovevole è poi la discriminazione delle donne legata alla maternità: ancora oggi molte sono penalizzate, demansionate o addirittura licenziate perché in gravidanza o neo-mamme. Non è raro che ai colloqui di lavoro vengano poste domande sulla situazione familiare e i progetti riproduttivi, in palese violazione della privacy e della parità di trattamento.

Talvolta le discriminazioni femminili sono indirette e passano attraverso prassi organizzative apparentemente neutre, come la richiesta di una flessibilità oraria che le madri faticano a garantire. Oppure si manifestano in modo sottile con microaggressioni, battute sessiste, demansionamenti riservati alle donne.

Tutte queste forme di discriminazione di genere non solo ledono la dignità delle lavoratrici, ma rappresentano un inaccettabile ostacolo alla piena partecipazione femminile al mercato del lavoro. Per questo è fondamentale riconoscerle, denunciarle e contrastarle con ogni mezzo, a livello individuale e collettivo.

Strumenti normativi a tutela delle donne lavoratrici

Negli ultimi decenni, il legislatore italiano e quello europeo hanno messo in campo una serie di strumenti normativi per contrastare le discriminazioni di genere sul lavoro e tutelare i diritti delle lavoratrici. Il quadro articolato di leggi e direttive rappresenta un importante punto di riferimento per le donne vittime di disparità come:

·       convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro,

·       direttiva 2006/54/CE,

·       codice delle Pari Opportunità,

·       consigliere di parità.

A livello internazionale, le Convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) sanciscono il principio della parità retributiva a parità di lavoro e il divieto di discriminazione nell'accesso all'impiego.

Nell'Unione Europea, diverse direttive, come la direttiva 2006/54/CE, hanno rafforzato il principio della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione.

In Italia, il Codice delle Pari Opportunità (D.Lgs. 198/2006) rappresenta il testo di riferimento, che vieta qualsiasi discriminazione di genere nell'accesso al lavoro, nella formazione, nelle condizioni di lavoro, nella retribuzione e nella carriera.

La legge prevede anche organismi di garanzia, come le Consigliere di parità, che possono agire in giudizio per la tutela delle vittime. Sono figure istituzionali che operano a livello nazionale, regionale e provinciale per promuovere e controllare che vengano attuati i principi di uguaglianza, pari opportunità e non discriminazione sul lavoro. Alla Consigliera si può rivolgere ogni donna che ritiene di essere stata discriminata nell'accesso al lavoro, sul lavoro, nella retribuzione, nella possibilità di fare carriera, di frequentare corsi di formazione, in caso di maternità o di licenziamento. Il servizio di consulenza gratuito, riservato e, se necessario, anche anonimo, prevede l’esame del caso e insieme all’interessata stabilisce l'intervento da attuare.

Non mancano poi tutele specifiche per le lavoratrici madri, come il divieto di licenziamento e demansionamento in gravidanza, che è sancito dal D.Lgs. 151/2001. Così come vanno ritenute nulle le dimissioni nel primo anno di vita del bambino, se vengono presentate senza essere state convalidate dagli ispettorati del lavoro.

Diciamo che a difesa delle donne lavoratrici c’è un arsenale normativo articolato, che però bisogna conoscere, utilizzare e fare rispettare. Solo così gli strumenti di tutela potranno dispiegare appieno la loro efficacia nel contrastare le discriminazioni di genere ancora troppo diffuse nei luoghi di lavoro.

Iniziative per il cambiamento culturale

Per contrastare efficacemente le discriminazioni di genere sul lavoro non bastano le leggi, serve un profondo cambiamento culturale. E per promuoverlo, accanto all'impegno delle singole aziende, sono fondamentali iniziative collettive che coinvolgano istituzioni, parti sociali e società civile.

Tra queste, spiccano le campagne di sensibilizzazione contro gli stereotipi di genere, come previsto anche dalla Convenzione OIL 190 sulla violenza e le molestie sul lavoro. Un esempio virtuoso è la campagna NoWomenNoPanel promossa dalla Commissione Europea, che invita a non partecipare a convegni ed eventi in cui non sia garantita un'adeguata rappresentanza femminile tra relatori e moderatori.

Altrettanto importanti sono i progetti di empowerment e mentoring femminile, come il progetto Steamiamoci lanciato da Assolombarda o Inspiring Girls di Valore D, che portano nelle scuole role model di successo per ispirare le ragazze a realizzare i propri sogni.

Non mancano poi reti e associazioni impegnate nella parità di genere che offrono supporto legale e psicologico alle vittime di molestie sul lavoro.

H2: Contrattazione collettiva e best practice in azienda

Fondamentale è anche il ruolo della contrattazione collettiva nel definire strumenti concreti di parità, come evidenziato da uno studio della Confederazione Europea dei Sindacati. Tra le buone pratiche che contribuiscono ad azzerare le discriminazioni di genere sul lavoro ci sono anche gli accordi per il work-life balance, come quelli siglati in aziende come Luxottica e Ferrero.

Infine, un potente acceleratore del cambiamento culturale è la certificazione della parità di genere introdotta dalla Legge di Bilancio 2022. Un sistema che premia le aziende dotate di politiche di parità, valutate da organismi accreditati secondo parametri definiti, come la presenza femminile nei ruoli apicali o il divario retributivo di genere, è un incentivo per promuovere una cultura aziendale più inclusiva.

Tutte queste iniziative dimostrano che il cambiamento è possibile se c'è l'impegno di tutti. Perché la parità non è solo una questione femminile, ma una sfida che riguarda l'intera società. E vincerla significa costruire un futuro più equo e sostenibile per tutti.

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